lunedì 24 febbraio 2014

Partire con lo zaino

Nel mio vagare su Internet proprio prima mi sono imbattuta in un articolo che mi ha fatto riflettere, precisamente questo:
Bello il paragone vita-zaino, mi sono chiesta e io? Cosa metterei nel mio e cosa un po' ho già messo?
Ho pensato prima alle cose pratiche, e se è vero che uno zaino non può contenerne tante, ho provato a sceglierne tre delle quali non potrei fare a meno e allora, il primato dell'indispensabilità io lo conferisco a...rullo di tamburi...un maglione caldo anti-ipotermia.
Sembra banale la cosa ma non per me, che quando arrivo a 36 gradi faccio festa e soffro il freddo più di ogni cosa, quindi decisamente indispensabile. Magari uno di quelli fatti con i ferri che solo a guardarli ti ricordano casa.
Metterei nel mio zaino anche la macchina fotografica, anche se è ingombrante, perché mi rendo conto che ogni volta che non la porto con me mi imbatto in qualcosa che vorrei immortalare e perché è una passione alla quale non vorrei dover rinunciare, quindi largo alla Nikon e spazio alla creatività.
Poi metterei anche una stecca di cioccolata Novi al latte, quella che mia nonna mi comprava al Conad e nascondeva in un posto segreto solo per me, ma in realtà tutti sapevano benissimo dove stava. Me la porterei dietro perché è terapeutica, per i momenti di sconforto e anche e sopratutto per festeggiare i momenti felici. Facciamo che me ne porto dietro due, non si sa mai che la prima finisca.
Nell'articolo che ho linkato lo zaino viene paragonato alla vita, è questa la cosa interessante. Allora quali sono le tre cose con cui dovrei riempire il mio “zaino” per vivere serena? Questa è una cosa già un po' più complessa.
Quando sono partita mi sono portata dietro un sacco di patemi, paure, problemi, pensieri e gente che non volevo portare con me. Tutte queste sono le cose che lascerei a casa e che sto provando ad abbandonare per strada perché che cosa me ne faccio io della paura? E dei patemi? Un bel niente, zero, uovo.
E allora metto nel mio zaino il pensiero positivo e i sorrisi, perché se c'è una cosa che sto imparando è che tutto può sempre migliorare se impariamo a cogliere le occasioni e non ci facciamo vincere dall'ansia, e che saper sorridere e fare sorridere è una qualità mica di tutti.
Un'altra cosa che metto nel mio zaino è la razionalità e la capacità di fare delle scelte. Prendere delle decisioni per me è sempre stata un'ossessione, odio pianificare, odio decidere e odio addirittura andare a fare la spesa perché ci metto sempre un secolo per decidere quale carne prendere. Però per crescere mi tocca, in questo periodo più che in altri, e allora voglio essere capace di fare le scelte giuste per il mio futuro e anche per il mio presente.
L'ultima cosa, vediamo, è difficile. Ci metterei la mancanza di casa, ma non la nostalgia. Allora spazio ai ricordi, ai profumi e alle telefonate su Skype, così da non scordarmi che un posto dove tornare ce l'ho sempre e che quindi posso andare avanti tranquilla.
Bene, mi sembra ci sia tutto e questo tutto è sicuramente troppo poco.

Dopo questo enorme sforzo mentale posso andare a fare la mia classica pennichella pomeridiana, quella non ho bisogno di portarmela dietro, mi segue da sola.

mercoledì 19 febbraio 2014

PARTIRE E': VIAGGIARE

“E grazie tante” (sto diventando sempre più fine!)
Sono sempre stata una viaggiatrice, per mia fortuna mia madre soffre di eritema, ma mica roba da ridere eh, quando sta al sole diventa tutta piena di bolle, tipo la carta per imballaggi (ciao Mamy, ti voglio bene, sei la mia mamma preferita, tanto lo so che mi leggi), il che è brutto da dire perché la mia fortuna altro non  è che la sua più grande sfiga, ma ahimè, shit happenes...indi per cui, alla tenera età di non mi ricordo quanti anni, ma sicuramente pochi, ho dovuto dire addio alle vacanze al mare. Tragedia per qualcuno, tripudio di gioa per chi, come me, le vacanze al mare le odia e nuota a stile cane che però annega.
Così, spostata tutta l'allegra famigliola verso le cime Austriache, Slave o del Trentino, e armati di abbondante crema solare total protection, tra una vetta e l'altra infilavamo sempre qualche capitale d'Europa e altre deliziose cittadelle sperdute.
Non sono mai uscita dal continente, purtroppo, ma è una cosa sulla quale sto lavorando e conto, presto o tardi, di mettere il mio 38 di piede un po' in ogni dove.
Ritorniamo alla mia errante famiglia che mi ha fatto la grazia di farmi vedere l'Est, così tra un gulasch a Praga, una gita in barca sul Danubio a Budapest e ancora Lubiana, Bratislava, Monaco, Vienna e altri gioiellini, la piccola Meri che odiava entrare nei musei e aspettava fuori con il cane, diventa un'appassionata di viaggi, e anche di musei.
Arrivata l'età per viaggiare da sola e terminata la gita di maturità tra Parigi e Berlino, festeggio i miei 20 anni a Londra, e l'anno dopo sbarco qui a Bruxelles.
Che enorme fortuna.
Autobus per l'Europa. 40 euro andata e ritorno. Le sentite anche voi le campane che suonano a festa?
E così ho ricominciato da Londra, città dove ho lasciato un pezzo di cuore (romanticona!) e che ogni volta è sempre spettacolare, anche quando il tuo compagno di viaggio decide di passare sei ore in una convention di tatuaggi frequentata da dubbi anziani affetti da evidente sindrome di Peter Pan e ballerine di burlesque. Che bella Londra, che bella la gente che va in giro vestita a Carnevale tutti i giorni dell'anno, che bello che il resto della gente non li degna di un'occhiata. Mi piacerà sempre e conto di tornarci a breve e di fare una capatina al Tate Modern che, per un motivo o per un altro, non sono ancora riuscita a visitare.
Seconda tappa del mio girovagare è stata Amsterdam, che oltre a non far parte del pianeta terra, si è rivelata una città bellissima e particolare, mi raccomando però: lontani dai coffee-shop se volete vedere la città, altrimenti vi ritroverete a passare la notte alla stazione di Rotterdam, assieme alla vostra compagna di viaggio, quattro barboni e la polizia che vi fa sloggiare dalle uniche zone a temperatura vivibile della stazione. Un'esperienza anche questa.
Arrivato Natale arriva anche mia sorella così decido di ritornare anche a Parigi e sto per dire una cosa sconvolgente e antipopolare che mi costerà non poche occhiatacce e forse farà riaprire le ghigliottine MA, proprio non ce la faccio. Bruxelles-Parigi 10 a 0, senza rimettere la palla in mezzo e tutti sotto la doccia, cafoni! Spendo due parole a favore dei musei e di Pigalle, sempre pieno di negozi che strappano un sorriso. Nessuna esperienza da segnalare, se non la pole position per entrare al Louvre, e Mona Lisa mi è sembrata invecchiata.
Così, delusa dalla francia e dai francesi mi muovo (questa volta in treno) verso le fiandre, direzione Bruges. Ecco una cittadella da vedere, meravigliosa Bruges, colorata, un po' antica, coi canali e la gente simpatica e tanta birra buona, come la tradizione belga impone. Non so perché l'avessi snobbata per così tanto tempo nonostante le mille occasioni per fargli una visitina e non mi aspettavo niente di che, ma devo ammettere che mi ha sorpresa in positivo e ci tornerei più che volentieri.
Sto già programmando la mia prossima uscita, che spero mi porti questa volta verso la Germania, così mi sto armando di sudoku, parole crociate e caramelle per affrontare le classiche tre o quattro ore di autobus e andare a scoprire qualche nuovo posto, in attesa di fare un salto in America, che rimane il mio sogno da quando ero una bambina o, perché no, anche in Oriente...me ne hanno parlato bene.

martedì 11 febbraio 2014

PARTIRE E': FREDDO

Sono arrivata in Belgio a settembre abituata all'estate italiana, quando passavo le giornate fuori in braghini e canottiera ed era sempre troppo caldo, poi arrivava la sera e ti dovevi mettere il chiodo di pelle, ed era sempre troppo freddo. Era settembre quando ho capito una cosa: non è mai troppo caldo. Me lo ricordano le mie labbra spaccate e sanguinanti, l'altro giorno un signore mi ha fermato per strada e mi ha chiesto se volessi il contatto di un buon esorcista, o anche le mie mani che il gelo, in combo con il detersivo per i piatti, ha fatto diventare come quelle di una massaia novantenne che si ritrova a dover fare i conti con il tempo.
Ora, sicuramente la mia vita sarebbe più facile con un burrocacao e un bel paio di guanti con il pellicciotto che Greenpeace è già pronta alla denuncia MA: la mia capacità di perdere le cose ha sempre avuto il sopravvento sull'organizzazione e questa è una costante della mia vita più scomoda di ogni k o pi greco che voi abbiate mai avuto l'onore di utilizzare in matematica, non ci posso fare niente, sono nata disordinata e sbadata, è colpa della genetica.
Dopo aver perso due paia di guanti in una settimana, un paio di guanti per la vaisselle, un burrocacao portato qui dall'Italia e un altro comprato, l'antigelo per i vetri della macchina, che non si sa mai possa tornare utile...ho rinunciato al mio benessere e sono pronta per affrontare le prossime audizioni per "The Walking Dead", sbaragliando la concorrenza.
In realtà non è tanto il gelo o il freddo in se, non è la pioggia che mi avevano promesso o i quintali di neve che ancora per fortuna non si sono visti. E' il vento, quell'infame, il vero disagio. E' un vento gelido di quelli che fanno cadere i vecchietti per la strada e una volta ho rischiato anch'io. Ti fa mettere gli occhiali da sole anche quando il sole non c'è perché se no ti entrano tonnellate di polvere negli occhi e arrivi dove devi arrivare che sembri uscita dal funerale del gatto, ti fa passare la voglia di uscire e ti fa un po' stare antipatica questa città. Così mi trovo rintanata in casa, con una coperta di pile sulle spalle e le scorte di cibo in scatola pronte, non si sa mai. Vivo in inverno da ormai cinque mesi e mezzo e continuo a chiedermi come sarà la primavera, se esiste veramente o se è tutta un'invenzione di noi meridionali e qui nemmeno sanno cosa significhi.
Tuttavia c'è anche un altro tipo di freddo qui, un po' diverso, di quelli che nemmeno il trapuntone vinto coi punti Coop ti salva.
Quando te ne vai lasci indietro un po' di cose e di persone. Lasci i genitori, la sorella, la nonna e il cane che ti faceva le feste quando tornavi dalle peggio serate alle 4 di mattina, lasci gli amici delle peggio serate fino alle 4 di mattina, lasci le amiche con le quali invece bastava sedersi al bar per fare due chiacchiere e deprimersi un po' e tirarsi su alla grande subito dopo. Lasci la pallavolo, l'operazione al ginocchio e la fatica fatta per ricominciare, la partite vinte, quelle perse e le tue compagne di squadra. Via, tutto messo da parte in qualche posto dentro, ben sigillato, che non si perda niente.
All'inizio mi è sembrata una cosa tristissima dover rifare tutto da capo e lasciare andare quella che è stata "routine" per vent'anni, ora mi viene naturale.
La malinconia e la mancanza sono cose normali ma quando parti lo fai con la consapevolezza che ogni volta che passerai da casa sarà la festa, e quando tornerai sarà una festa ancora più grande, pranzi e cene da sette portate con sorbettino digerente a metà e carrellata di dolci alla fine. Quindi partire mi ha trasformata in una persona un po' più fredda, soprattutto dopo qualche mese, quando alla malinconia fai l'abitudine e riesci a pensare ad amici e famiglia senza magone. Il distacco ci serve e ci fa crescere, ci permette di fare nuove esperienze, incontrare nuove persone e creare qualcosa con loro.
Non si può dire che la distanza non cambi i rapporti, questo non sarebbe vero e chiunque dica il contrario probabilmente non è mai stato a più di un chilometro da casa. I rapporti cambiano, la quotidianità cambia ed è difficile rimanere legati come quando si vive praticamente insieme, questo a volte mi rattrista. Poi però penso che sia la normalità, che è difficile curare un'amicizia quando ci sono più di mille chilometri in mezzo e l'unico modo per vedersi è Skype, ma non impossibile, chi ha voglia di restare resta e chi ha voglia di aspettarti ti aspetta e capisce.
All'inizio credevo che partendo avrei come "congelato" il tempo a casa, sbagliavo. Le cose succedono e molte non le vivrò poiché sono lontana. Probabilmente non vedrò nascere mia cugina, nemmeno sarò a casa per vedere l'esame di maturità di mia sorella e non sarò presente quando quell'amica avrà bisogno di un abbraccio, ma è il prezzo da pagare per realizzare quello che è sempre stato un mio piccolo sogno, non lo pago volentieri e mi sento un po' egoista, ma sono più grande di quando sono partita e comincio a capire che le cose vanno così, cambiano, ma sicuramente a tutto questo riuscirò a trovare un riscontro positivo.
Per quanto mi manchi casa mia, qualcuno che mi faccia trovare sempre i vestiti stirati, qualcuno con cui confidarmi e che si confidi con me..credo che staccarmi sia stata la migliore scelta della mia vita e che l'indipendenza, sotto ogni punto di vista, sia la più bella fortuna che una persona possa coltivare.
E quanta altra gente si conosce! Gente diversa dagli amici, ma con un sacco di cose da raccontare, e culture e pensieri che si dissociano da quello che era la vostra abitudine.
Ora conto per lo più su di me, anche se sono il solito disastro in cucina e ancora non ho ben chiaro come far partire la lavatrice (il procedimento è sempre mettere dentro tutto insieme con un foglio di Acchiappacolore Grey e dire cento Ave Maria inginocchiati sui ceci, confermate?), ed è bello!
Quindi, consiglio del giorno: andate, separatevi, lasciate a casa qualcuno di fidato ad aspettarvi e a fare la guardia alla vostra auto e ai vestiti che avete lasciato nell'armadio, il cane non vale. Conoscete altra gente, raffreddatevi ma copritevi che qui farsi curare è una cosa complessa e non dimenticatevi a casa l'Aspirina e l'Oki, saranno vostri grandi amici e alleati per tutta la vacanza.

martedì 4 febbraio 2014

PARTIRE E': CERCARE LAVORO

Sono alla ricerca di un lavoro perché, in un pomeriggio in cui mi sentivo più coraggiosa che mai, ho lasciato quello che avevo.
Oggi è una di quelle giornate in cui me ne pento e ammetto che da stamattina mi sono chiesta almeno otto volte che cosa ci faccio qui, fino a quando non ho trovato una piccola motivazione, che mi è apparsa come la Madonna a Medjugorje.
L'altro giorno ho comprato il giornale degli annunci e, tra una chiamata e l'altra, sono riuscita a fissarmi un rendez-vous alle ore quattordici presso l''Univers Cafè di Place Dailly 16 (o almeno così credevo), zona della quale ignoravo l'esistenza.
Mi sono alzata alle nove, io che le nove di mattina le conosco solo per sentito dire, ma sapevo che una fetta di torta grande come la mia faccia mi stava aspettando in cucina, quindi mi sono svegliata felice e ho messo a punto un bel programmino di cose da fare, con tutti gli orari calcolati alla perfezione. Dopo aver finito la mia regale colazione e carica come Auriemma quando il Napoli passa la metà campo, mi sono fatta la doccia, lavata i denti, vestita, mi sono seduta sul divano e mi sono addormentata di nuovo.
Mi capitava spesso, a casa, di addormentarmi dopo aver fatto colazione, ma in genere c'era sempre qualcuno che mi veniva a ricordare dei miei impegni. Qui non c'è nessuno, se non la sveglia che imposto regolarmente a mezzogiorno perché vivo con me da quasi ventidue anni e ormai mi conosco abbastanza bene.
Quando mi risveglio esco di casa di corsa, maledicendomi anche in aramaico antico, e arrivo dove devo arrivare (non prima di: aver pranzato con un pezzo di pane, aver scoperto che l'abbonamento ai mezzi era scaduto ieri, essere andata dall'altra parte del quartiere per rinnovarlo e, nel mentre, essere inciampata in una formica). Chiamo Madame non ricordo il nome, titolare del locale. La gentilissima signora, che parla francese peggio di me, mi dice che l'appuntamento era in Place Liedts e dico io, me lo dici ora che sono le due meno dieci e io sono dall'altra parte della città. Allora di nuovo salgo sul bus, scendo dal bus, prendo un tram a caso con l'angoscia di arrivare tardi, IO che ero uscita di casa alla mezza per un incontro che avevo alle due, corro a perdifiato e arrivo, finalmente. nel luogo giusto.
In ritardo di 20 minuti, con il fiatone e senza un polmone che avevo sputato durante la corsa, non riesco ad aprire la porta del bar. Molto bene, mi assumono sicuro. Viene in mio soccorso la titolare, che mi apre e mi fa vedere il bar. Panico. Orrore. Puzza. E' la brace, è colpa del signor Eric-gufo-maledetto.
All'interno del Cafè vuoto e nemmeno troppo pulito, trovo un'altra cameriera alta un metro e ottanta e pesante venti chili con un paio di sassi in tasca, vestita (????) veramente troppo poco e truccata veramente troppo. Io e il mio maglione di due taglie più largo con tanto di renna stampata sopra vorremmo solo scappare, ma decidiamo di sederci e sentire un po'.
Dieci minuti scarsi di colloquio in cui mi è stato chiesto se possedevo la DICHIARAZIONE DI MORALITA' (????) e un qualsiasi documento che certificasse che non ho malattie alle mani (????), entra un cliente che abbraccia con passione la cameriera secca, si fanno l'occhiolino e lei gli fa il caffè. Esco dal locale, un po' amareggiata, con la consapevolezza che forse è meglio cercare un altro posto e la quasi certezza che tanto non troverò nulla di meglio.
Continuo così la mia passeggiata nostalgica con il morale di una che ha bisogno di una terapia, porto in giro un altro po' dei miei curriculum e decido di fermarmi per una Coca Cola in un bar a caso, mi guardo i talloni e vedo due vesciche sanguinanti e una delle mie splendide scarpe nuove mezza rotta. E allora mi viene da dire solo una cosa: vai a cagare vita da immigrata, vai a cagare cercare lavoro, vai a cagare affitto che ho pagato ieri sera e anche tu, abbonamento ai mezzi pubblici.
Finisco di sbraitare da sola come le peggio pazze ed ecco Medjugorje. In un momento di lucidità tra uno sclero e l'altro, vado dal ragazzo che mi ha dato la Coca Cola e gli lascio il mio ultimo curriculum. Lui, gentilissimo e anche discretamente bono, mi fissa un incontro con il titolare del bar di fronte, che cerca personale. Non so quale pudore mi fermi dal lanciarmi addosso al ragazzo Coca Cola, ma ho deciso che se questo colloquio andrà bene, mi presenterò da lui per ringraziarlo e fargli notare che lui è tanto bello e io tanto sola.
Tutto questo per chiedervi di dire due preghierine per me, che se giovedì mi va bene avrò di nuovo un lavoro, in un bar giovane giovane, con un vicino-di-bar davvero niente male e che anche se non trovate un lavoro subito, se il colloquio ve lo fanno Patty e Selma Bouvier imputtanite e se avete passato la giornata a maledire il giorno in cui siete partiti...stay positive sempre, soprattutto se sapete che a casa è rimasta un po' di quella buonissima torta ad aspettarvi . Ai gufi del malaugurio solo una cosa:


domenica 2 febbraio 2014

PARTIRE E': BRUXELLES

Dopo aver perso una buona mezz'ora per far capire a Word che no, non volevo creare un elenco numerato ma solo scrivere un umile uno davanti al mio titolo ed essere stata sconfitta ancora una volta dalla tecnologia, mi trovo qui a cominciare questa “raccolta” su quello che per me ha significato partire.
Penso a tante cose, alcune serie e altre meno, e mi è venuto in mente di condividerle con chi ha tempo da perdere ed è curioso di sapere come si può fare per adattarsi alla vita da emigrante, o almeno come sto provando ad adattarmi io.
Cominciare a raccontare della mia partenza parlando proprio dell'arrivo, o meglio del posto dove sono arrivata, mi sembra un buon tributo a una bella città e alla bella gente che ci sta dentro, ma partiamo dal principio...
Volevo andare a vivere a Londra io, volevo parlare inglese, a me il francese ha sempre fatto schifo. Ho sempre odiato ogni professoressa dal momento in cui metteva piede dentro l'aula, dicendo “Bonjour” con quella erre metà moscia e metà dura, e loro odiavano me per quanto in ogni interrogazione infilassi sempre qualche vocabolo napoletano o romagnolo, mica lo facevo apposta, è che proprio dire “lavuré” al posto di “traviller” mi veniva spontaneo.
Volevo andare a vivere a Londra punto, invece mi ritrovo a Bruxelles, parlo francese e alla fine non mi dispiace proprio per niente.
Vivo nel quartiere arabo un po' malfamato, popolato da una strana fauna, sicuramente variopinta e molto più piacevole di quello che avrei mai pensato, e ho fatto amicizia con il mio rivenditore ufficiale di sigarette, il suo monosopracciglio e anche con il figlio-scimmia, ogni volta che mi vede mi dice “Hole senorita!”. Gli ho fatto vedere i documenti, ma lui non ci crede che sono italiana,  per lui rimango spagnola, è inutile che io continui a mentire, perchè tanto lui lo sa.
Ho fatto amicizia anche con il kebabbaro della piazzetta che oltre a farli, i kebab, se li mangia e si vede, però è simpatico e ci regala sempre le patatine fritte, e allora come fai a non volergli bene?
E poi c'è l'amico del fruttivendolo, quello senza denti che però sorride come se ce li avesse tutti e 32, forse anche qualcuno in più, e cerca sempre di vendermi i pomodori dell'amico suo, perchè sono più rossi di quelli della bancarella di fianco.
E anche se ormai le sirene della polizia mi fanno venire il mal di testa e il mese scorso qualcuno ha deciso di dare fuoco all'edificio all'angolo (che ci vuoi fare, so' ragazzi, lasciamoli divertire), la diffidenza iniziale è scomparsa e mi ritrovo a chiamare questo posto “casa”.
Bruxelles è tante cose, sono le cioccolaterie messe una di fianco all'altra che non ne scampi mica, un po' di cioccolata la comprerai sempre; sono i pub e i mille tipi di birra che anche se ti impegni non riuscirai a provarli tutti e le patate fritte nel cono che ti fanno compagnia la domenica in Grand Place mentre i turisti si fanno le foto o il sabato in Rue Neuve, la via dei negozi, dove la gente impazzisce e tu per attraversare ti senti Rocki contro Ivan Drago e arrivi alla fine con un occhio nero, due costole incrinate e il figlio di qualcuno attaccato a una gamba, senza essere riuscito a comprare niente ma con la consapevolezza che il sabato dopo tenterai di nuovo.
Bruxelles è arrivare davanti al Manneken Pis dopo che per anni è stata la tua pedina del Monopoli con grandi aspettative, per poi ritrovarti a guardare un putto che piscia alto 50 centimetri e rimanerci talmente male da promette che a Monopoli non ci giocherai più.
Bruxelles è poter vivere senza la macchina perché autobus e metro passano regolarmente, e sopra ci troverai SEMPRE un signore armato di carrellino per la spesa con dentro una cassa e in mano un microfono, che canterà canzoni neomelodiche stonando di brutto, poi ti chiederà le monete per mangiare, un po' mi viene da sorridere e un euro glielo regalo volentieri.
Bruxelles è sicuramente tante altre cose, dal mercato di Midi, all'Atomium , agli amici Erasmus con i quali ho condiviso film, cene, serate e sbronze (per i miei genitori: poche sbronze, non preoccupatevi) e i coinquilini che diventano la tua "famiglia in trasferta", e dici poco!
Allora, senza cadere nel banale o nel sentimentale che, per l'amor di Dio, dopo mi viene voglia di biscotti e di guardare “Il diario di Bridget Jones” accarezzando la mia ecopelliccia leopardata comprata da Primark coi saldi..Bruxelles è stata un'inaspettata e positiva sorpresa, arrivata proprio in un momento della mia vita in cui mi stavo annoiando parecchio.
Quindi riprovo a sfidare il sistema operativo e i suoi elenchi numerici e concludo con tre considerazioni, intelligenti o meno:
1) Se partire è Bruxelles, e Bruxelles è una cosa positiva, il buon Aristotele ci insegna che partire è una cosa positiva, o almeno lo è stato per me;
2) Le mie svariate professoresse di francese (che saluto, ciao prof!) alla fine si meritano un piccolo grazie, però restano stronze;
3) Non importa dove compri i pomodori, quelli di Samir saranno sempre più rossi dei tuoi.